il blog dell'E45 Fringe Festival

il blog dell'E45 Fringe Festival

lunedì 18 luglio 2011

Sospiro d’anima di Francesca Di Giacomo


Quando la scena diventa il simulacro della sacralità rappresentativa, il teatro ritorna alle origini della propria primordiale essenza contemplativa. Quando la scena è essenzialmente e simbolicamente abitata e vivificata da una “sacerdotessa” della memoria, filtro mediatico fra due mondi, allora sì, si può dire di assistere ad una rappresentazione teatrale degna di rispetto.
Un cerchio di pietre illuminato da piccoli lumini, un albero bianco sterile e stecchito, cassetti, scatole, vecchi oggetti trascinano citazioni infinite. Un senso profondo di inquietudine e di leggera follia aleggia nell’aria densa  e  quasi asfittica della saletta dello Stabile napoletano; un’angoscia esistenziale si insinua nei pensieri permeabili degli spettatori forse turbati, o sicuramente impressionati, dalle farneticazioni incomprensibili di una “vecchia” donna che nella sua compostezza scomposta racchiude il percorso tortuoso di un’intera vita. La musica di una fisarmonica accompagna le sue peregrinazioni interiori.
La comunicazione: un bisogno esistenziale.
“Parole e pensieri possono cambiare il mondo”.
La vecchietta, Rosina Cantoni, prima di andare – ma andare dove? – “deve” raccontare la sua vita perché nel racconto vi è il senso. La memoria non è più un cassetto abbandonato di un passato vissuto e dimenticato, ma la costante presenza e conseguenza di un presente destinato al racconto che consegni tutto al futuro.
Attraverso una capacità attoriale sofisticata, attenta, delicata, travolgente, trasparente, ricercata nelle sue estreme possibilità, l’interprete e autrice indaga, porta alla luce, o semplicemente vivifica il mondo che fu di Rosina, poetessa della Resistenza friulana. Ne ripercorre la vita attraverso pensieri, musiche, parole, ricordi che si estrinsecano mediante vecchie foto di famiglia o una tazzina di caffè, elementi scenici di contatto col pubblico, vero protagonista della rappresentazione perché destinatario e depositario attivo del messaggio che Rosina deve assolutamente lasciare prima di andare – ma andare dove?.
Dopo aver presentato le sue origini, la sua famiglia, Rosina comincia a “parlare” di sé, una comunicazione che, a fasi alterne, avviene con il pubblico e con se stessa. Difatti, nei momenti in cui la musica di David Cej  sale, l’esigenza comunicativa ripiega su una dimensione introspettiva, in quel dialogo infinito del poeta con se stesso.
La bellezza coinvolgente dell’allestimento è racchiusa nell’estrema competenza dell’attrice che attraverso una gestualità discorsiva e una mimica “mimetica” e del viso e del corpo riesce a sdoppiarsi continuamente nel corso del racconto di “una vita”, a creare i personaggi, a passare dal presente al passato, dalla vecchiaia alla giovinezza anche attraverso cambi di dizione. Un italiano regionale, con inserzioni puramente dialettali, caratterizza, infatti, il parlato di Rosina che racconta; un italiano standard, con dizione curata, rappresenta, invece, la Rosina  giovane e adulta che rievoca le sue avventure: il lavoro in fabbrica, l’avvento del fascismo, l’iscrizione al Partito Comunista, la Resistenza, il campo di concentramento, la liberazione.
Tutto attraverso il “tutto” dell’esperienza vitale, tutto attraverso le poesie di Rosina, una poesis che coinvolge, raccoglie, commuove fino a toccare l’anima, attraverso il sospiro di quell’anima che si condensa in un “soffio” di povere bianca nel passaggio di un’esistenza.

Nessun commento:

Posta un commento