il blog dell'E45 Fringe Festival

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venerdì 15 luglio 2011

Saluti da… di Francesca Di Giacomo

“Perdersi  significa che tra noi e lo spazio non c’è solo un rapporto di dominio, ma anche la possibilità che sia lo spazio a dominare noi..
Nelle culture primitive invece, se uno non si perde non diventa grande” (cit.)

Sarebbe riduttivo e poco identificativo definire “Saluti da…” di Lucia Citterio uno spettacolo teatrale di danza.
Per comprenderne il senso bisogna, innanzi tutto, inquadrarlo come “progetto itinerante”; un progetto che come spiega la regista, ideatrice ed interprete, in un breve incontro post- rappresentazione, nasce qualche anno fa, in seguito a diversi anni di ricerca. Dopo Dakar e La Habana arriva Napoli, i suoi luoghi: il mare, il molo, le barche, le persone/personaggi, le passioni, le contraddizioni di una città in divenire tanto rappresentativa quanto astratta. La trasfigurazione scenica attuata attraverso il movimento manifesta proprio una dicotomia estrinseca quanto intrinseca di concretezza di immagini e astrazione di contenuti, talvolta, troppo paradossali per essere vivificati e palesemente intesi. Il percorso interpretativo compiuto dalla danzatrice parte, ovviamente, da idee autorappresentative e parziali a priori circa l’oggetto dell’ indagine stessa che si classificano come momento iniziale del processo catartico di immersione nell’urbe prescelta.  Ma, è dallo scarto tra una naturale immaginifica dimensione intellettiva  a prioristica, e un’esperita dinamica a posteriori di conoscenza di sé attraverso il luogo e del luogo attraverso il sé, che l’esperienza scenica si concretizza e diventa solo il passaggio transitorio del progetto itinerante a cui si è fatto riferimento.
Il momento scenico motorio si arricchisce di sequenze e rituali con brevi riferimenti a danze africane e nipponiche di cui, come si legge nella sua biografia, la danzatrice ha diretta esperienza per avvenuta formazione in quei luoghi. Non mancano simbologie “misticheggianti” ottenute attraverso richiami cromatici vermigli, realizzati con nastro adesivo applicato durante l’esecuzione in diverse parti del corpo in continua “comunicazione” e tentativi di “contatto”. La struttura scenica è ben costruita dalla danzatrice che fissa degli steps ai quattro angoli - dove tra l’altro si compiono i “mini rituali”- del palcoscenico ritagliato ad hoc e all’interno dei quali l’espressione liberatoria del sé e del dove trova le sue forze  e i significati del perdersi e del trovarsi nel labirinto della ricerca.

“Attraversando ogni nuova città il viaggiatore ritrova un suo passato che non sapeva più di avere:l’estraneità di ciò che non sai più o non possiedi più ti aspetta al varco nei luoghi estranei e non posseduti.[..]
Viaggi per rivivere il tuo passato?
Viaggi per ritrovare il tuo futuro?
L’altrove è uno specchio in negativo.
Il viaggiatore riconosce il poco che è suo scoprendo il molto che non ha avuto e  non avrà.”

(Italo Calvino, Le città invisibili)

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