il blog dell'E45 Fringe Festival

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lunedì 18 luglio 2011

Idoli di Giuseppe Giannelli

Una danza dell'immobilità


L'uomo contemporaneo è perso tra vizi e capitalismo che lo affossano in una vita che scorre nell'immobilità. Lo spettacolo “Idoli”, prodotto dalla “Carrozzeria Orfeo”, mette in mostra con atmosfere Pinteriane i nuovi vizi capitali, dove la famiglia non si accorge di quanto sia degradante la vita, con lo scorrere del tempo, verso il senso vuoto delle cose. Ogni personaggio è costruito su una desolante immagine viziata da consumismo, conformismo, e così via. Coniugi che cercano di uniformarsi passivamente al vivere secondo le cattive abitudini della società moderna. Un giovane figlio vittima della sua stessa bontà, incapace di relazionarsi con l’esterno se non usando esclusivamente la rete. Un nonno maldestramente accudito al solo scopo di usufruire della sua pensione. Infine una giovane coppia che basa il proprio rapporto su una comunicazione insolente, senza pudore e incentrata su un individualismo anarchico.
La drammaturgia di Gabriele Di Luca, che cura anche la regia insieme a Massimiliano Setti e Alessandro Tedeschi, appare in alcuni punti convincente, e mette in mostra le brutture di vite immobili, dove la violenza, verbale o fisica, è l'unica forma di rivolta contro quella che rappresenta una vita priva di obiettivi e di ideali. Il culto del vuoto, sicuramente il vizio meglio rappresentato anche scenograficamente, fa da trait d'union alla nera partitura che viene interpretata da un affiatato gruppo di attori, con una buona padronanza scenica, che delinea personaggi reali, a mio avviso, forse poco estremizzati.
Con disinvoltura gli interpreti costruiscono un itinerario interessante della società contemporanea con diversi spunti originali, anche se a tratti ancora intriso di retorica, come “la danza dell’immobilità”, un quadro comunque simpatico dove i protagonisti seduti su una sedia a rotelle mimano la passività e l’assenza di volontà nel cambiare il percorso della propria vita. Nessuna condanna, nessuna presa di posizione emerge dalla messa in scena se non il gelo che si diffonde sia emotivamente che scenicamente in un inquietante finale.


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